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Mimmo Paladino a Villa Pisani


Mimmo Paladino è certamente un artista poliedrico ed eclettico, le sue opere rispecchiano le varie sfaccettature della sua personalità, essendo, ad immagine del loro creatore, eterogenee e multiformi. Seguendo l’esempio degli antichi maestri, Mimmo Paladino fa parte delle poche persone che, ambivalenti e curiose sperimentatrici, si cimentano con successo in ogni tecnica artistica. Con un’insaziabile e caratteristica curiosità, Paladino indaga fin dagli anni Settanta i campi della fotografia, della pittura, del disegno, della scultura, dell’acquaforte, dell’acquatinta, della linoleografia, della xilografia e della sceneggiatura, differenti domini dell’arte che sotto la sua mano si legano e si completano l’uno l’altro. Grazie all’ausilio di differenti materiali come il bronzo, il legno, il gesso, il marmo, ma anche oggetti ritrovati come maschere, rami, fucili arrugginiti, pignatte sfondate, ombrelli rotti, e con richiami all’arte egizia, etrusca, greca, romana, paleocristiana, romanica e africana, l’arte di Mimmo, allacciando antichità e presente, è protagonista assoluto della corrente della Transavanguardia, elaborata nel 1980 da Achille Bonito Oliva. L’attrazione di Paladino per l’arte risale alla sua prima infanzia. Nato nel 1948 a Paduli, piccolo paese sopra una collina nei pressi di Benevento, il piccolo Domenico è presto introdotto alla pittura, sia tradizionale che contemporanea, dallo zio pittore. Perciò nel 1964 si iscrive al Liceo Artistico di Benevento dove rimarrà fino al 1968. In questi anni, gli influssi furono multipli. Quando si recò alla Biennale di Venezia nel 1964, Paladino fu particolarmente impressionato dalle opere di Claes Oldenburg e di Jim Dine. Durante i suoi anni liceali, nei quali ammirava specialmente il lavoro di Max Ernst e di Paul Klee, la scena internazionale dell’arte era allora dominata dalle correnti minimaliste e concettuali. Fu l’occasione per lui di assimilare idee di entrambi i movimenti ai quali aggiunse il suo desiderio di tornare ad un’arte più espressiva ed emotiva. La prima fase dell’attività dell’artista si incentra principalmente sulla fotografia. Poco dopo, con la realizzazione nel 1977 di un grande pastello per la galleria di Lucio Amelio di Napoli e la partecipazione alla Triennale Internazionale di Disegno di Bratislava, inizia la sua carriera di disegnatore. Gli anni a cavallo tra il 1978 ed il 1980 sono da leggersi come un periodo transitorio tra le posizioni concettuali sulle quali era inizialmente concentrato e la rinnovata attenzione per la pittura figurativa. Le opere di questa fase sono prevalentemente dipinti monocromatici dalle tinte decise sui quali campeggiano strutture tridimensionali geometriche o oggetti ritrovati. Nel 1979 Mimmo vive, con Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi e Nicola de Maria, l’esperienza della Transavanguardia, che trionfa alla Biennale di Venezia del 1980. Nelle sue composizioni di quegli anni si riconosco influssi di Henri Matisse, di Paul Klee (Canto guerriero, 1981, Ball State Museum of Art, Indiana; Sette, 1991, collezione privata), di Vassilij Kandinskij (Caverne minacciose, 1982, Tate Modern, Londra) o di Arturo Martini per quanto riguarda la produzione scultorea (Ritiro, 1991, Detroit Institute of Arts). Lo stile di Paladino diviene sempre più figurativo, allegorico e mitologico, inspirandosi all’arte e ai manufatti di differenti culture dall’antichità al presente. Frammenti di cose come mani, mobili, piante, maschere senza sguardo, profili arcaici di teste umane ed animali, cariche di mistero, sono dipinte o scolpite per assemblarsi in un misterioso dialogo. Dalla scultura, Paladino affronta recentemente anche il cinema, con Quijote, il suo primo film. Come lui stesso commenterà: “per molti versi, il cinema è paragonabile alla scultura. Quando modelli una forma in creta o in gesso hai appena cominciato. Dopo c’e la fusione, la limatura, la patinaÉNon solo. I tempi di attesa, i tempi tecnici, tra un film e una scultura sono simili. [É] Creare un film è qualcosa di analogo alla scultura, ma è come plasmare la luce. Questo è quello che mi ha affascinato. Lavorare con la luce che si materializza, che diventa immagine, movimento, parola, suono.” Grazie a mostre personali ed itineranti l’arte di Paladino è molto conosciuta all’estero dove riscuote da oltre trent’anni larghi consensi. Le sue opere arricchiscono le principali collezioni pubbliche e private del mondo, fra cui il Museum of Modern Art ed il Guggenheim Museum a New York o la Tate Modern di Londra. L’artista si è distinto anche per la sua straordinaria capacità di creare opere pubbliche, tra cui resta memorabile la Montagna di Sale esposta in Piazza del Plebiscito a Napoli nel 1995. Suoi interventi permanenti sono visibili anche a Poggibonsi, a Benevento, e a Roma, dove ha realizzato un mosaico permanente per la struttura dell’Ara Pacis di Richard Meier. Tra gli interventi recenti, la mostra alla Galleria Civica di Modena tenutasi fino a gennaio 2008 e l’installazione a Roma presso l’Ara Pacis, attualmente in corso. Concepita come un omaggio al sapere epico, l’esposizione di Modena ha presentato un insieme di opere inedite, fra sculture, installazioni, disegni e dipinti. A Roma invece i suoi segni sono stati messi di nuovo a dialogo con i suoni elaborati da Brian Eno. La sua narrazione è composta di oggetti che si comportano come segni e riferimenti in cui l’artista indica una volta di più i nostri timori ancestrali e pone la lancinante domanda della condizione umana attraverso le tematiche ricorrenti della solitudine o del vagare. Il suo lavoro più che mai propone un linguaggio visuale ambiguo, di un artista che crede che l’arte debba porre domande senza mai dare risposte.

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